Sulla soglia del Paradiso. Subiaco e il Monastero di San Benedetto
Per molti viaggiatori esistono dei veri e propri luoghi dell’anima, paesaggi e scenari naturali particolarmente suggestivi dove è possibile ritrovarsi, riunendosi con la parte più autentica e profonda di se stessi.
Per Francesco Petrarca, il sommo poeta, questo luogo è esistito e lo trovò nel corso dei suoi numerosi viaggi compiuti in Italia e in Europa, non lontano dal centro della cristianità, a soli 70 chilometri da Roma, nell’allora selvaggia valle dell’Aniene a ridosso dei Monti Simbruini.
All’autore del Canzoniere la sensazione sovraumana di pace e serenità del Monastero di San Benedetto a Subiaco, destò una così profonda e vivida commozione da spingerlo a definirlo Paradisi limen (soglia del Paradiso). A distanza di secoli il magnifico monastero in cui si può ammirare il Sacro Speco, la grotta nella quale Benedetto da Norcia aveva vissuto in penitenza ed in contemplazione, conserva intatto il suo fascino mistico e la sua sublime serenità. Il complesso religioso, incassato nella roccia del monte Talèo a strapiombo sulla valle sottostante e formato da due Chiese sovrapposte,edificate tra il XII e il XIV secolo, rappresenta ancora oggi, nonostante gli insulti del tempo, un mirabile esempio di architettura sacra, adornata di opere d’arte di incommensurabile bellezza.
La chiesa superiore edificata nel XIV secolo, a cui ai accede da tre corridoi con affreschi di scuola umbra del XV secolo, presenta al suo interno un magnifico pulpito duecentesco, affreschi trecenteschi di scuola senese e quattrocenteschi di scuola umbro-marchigiana. La chiesa inferiore, a più ripiani ricavati nella roccia, è rivestita di affreschi con storie di s. Benedetto (i più interessanti sono datati all’inizio del Duecento); al suo interno si trova la grotta di s. Benedetto, con la statua del santo, opera di Antonio Raggi detto il Lombardo (XVII secolo), sottostante alla cappella di san Gregorio in cui si può ammirare il ritratto di Francesco d’Assisi, prima sua immagine, dipinta probabilmente mentre il santo era ancora in vita, opera di estrema importanza storica e di squisita fattura come gli affreschi di un’altra cappella in cui sono raffigurate le storie della Vita di Maria ( XIV secolo).
L’antico refettorio custodisce invece una straordinaria Ultima Cena trecentesca, recentemente riportata al suo antico splendore. Nelle sue vicinanze è possibile godere lo spettacolo della rigogliosa natura immersa nella serena solitudine della valle, e nelle afose giornate estive anche della frescura del non distante laghetto intitolato al santo che in questi luoghi trovò la strada che lo avrebbe portato a “ritrarre il piede dalla soglia dell’inferno” a soli 17 anni. Il segno lasciato del fondatore dell’ordine monastico, famoso per la sua regola che unisce la preghiera al lavoro, è anche nei dodici monasteri che fondò durante il trentennio trascorso nel borgo laziale.
Di questi il solo sopravvissuto è quello dedicato alla sorella Santa Scolastica. Edificato su un’altura ad est di Subiaco, è il più antico monastero benedettino al mondo e anche “culla della stampa” nella Penisola. Attualmente si presenta come un complesso di edifici costruiti in epoche e stili diversi. Sul suo ingresso, campeggia la scritta “Ora et Labora”, con strutture del XX secolo, che introducono in un primo chiostro detto Rinascimentale (XVI secolo), da dove si accede al secondo chiostro “Gotico”( XIV secolo) e da questo all’ultimo “Cosmatesco” (XIII secolo). Degni di nota sono anche il campanile del XII secolo e la Chiesa attuale gioiello Settecentesco, ultima di cinque chiese stratificatesi nel corso dei secoli. Santa Scolastica conobbe il periodo di maggior floridezza tra l’XI e il XIII secolo, sebbene ancora nel Quattrocento rappresentasse un luogo assai rinomato, tanto da attirare due chierici tedeschi, Arnold Pannartz e Conrad Sweynheym che impiantarono nei locali del monastero la prima tipografia della Penisola, che arricchì la Biblioteca di preziosi incunaboli , tra cui il primo libro a stampa con data certa, il “De divinis institutionibus adversus gentes” di Lattanzio, che reca l’anno di stampa, 1465.
Per la concentrazione di questi templi dello spiritualità , la valle su cui sorge Subiaco, prese giustamente l’appellativo di santa, anche se come accade quaggiù sempre sottile è la linea che separa il Paradiso dall’Inferno. A ricordarcelo è l’imponente mole della Rocca abbaziale, edificata nel XII secolo e più volte rimaneggiata nel corso del tempo, che abbarbicata su uno sperone di roccia, incombe sulla sottostante vallata.
Simbolo allo stesso tempo della storia civile e religiosa di Subiaco (dal latino Sublaqueum «sotto i laghi», per via dei tra laghi artificiali creati sotto il regno di Nerone, sbarrando il corso dell’Aniene) , in cui si mescolano le alte note della spiritualità benedettina con le oscure pagine dell’ambizione umana. Nella fortezza secondo alcuni storici si ritiene infatti che abbia visto la luce, nel 1480, Lucrezia Borgia, la controversa figlia del dissoluto e corrotto cardinale Rodrigo Borgia, commendatario di Subiaco nel 1472, salito sul soglio pontificio nel 1492 con il nome di Alessandro VI. Il fascino della cittadina laziale, che le ha fatto meritare l’ingresso nella Associazione dei Borghi più belli d’Italia, si manifesta anche nelle vedute del centro storico, quelle che suggestionarono Antonio Fogazzaro a tal punto da decidere di ambientarvi uno dei suoi romanzi più controversi, Il Santo (1905) censurato dalla Congregazione dell’Indice dei libri proibiti.
Le atmosfere sublacensi che fecero innamorare il romanziere vicentino si possono ancora oggi rivivere passeggiando per i vicoli del centro storico respirando “l’aria odorata d’erbe selvagge” o entrando in una delle caratteristiche botteghe che in cui sono esposti i lavori in legno, ferro e terracotte, frutto della maestria degli artigiani locali, o infine fermandosi in una delle numerose trattorie dove è possibile gustare le prelibatezze del luogo , cucinate con le eccellenze della valle, dagli strozzapreti al “ju pappaciùccu, una pietanza sostanziosa a base di cavoli neri lessati e impastati con pizza di granturco e pane raffermo, al “ju fallò”, pane fatto con farina di mais, passando per “la pulènna colle spuntature de porcio”, ( per chi preferisce il pesce, consigliata la “trotta n’ guazzetto) , i “bròccuji ncancarìti” e finendo con “je salame degliu re” (rotolo di pan di spagna con cioccolata), e i famosi “subbjàchini” (biscotti tipici).
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Pierluigi Mercuri
Antonio Renzetti
Giornalista italiano con oltre 40 anni di esperienza nel mondo dei media.
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