Non sono semplici piatti locali, ma una filosofia di vita al centro della quale c’è il fuoco: la Valle Vigezzo
Non sono semplici piatti locali, ma una filosofia di vita al centro della quale c’è il fuoco, inteso come focolare che scalda, cuoce e fa compagnia. Siamo in una valle incantata delle Alpi, in Piemonte: la Valle Vigezzo (Verbano-Cusio-Ossola). La cultura gastronomica del luogo è basata su ingredienti semplici nei quali si indentificano le caratteristiche naturali e morfologiche del territorio, il clima, la storia e il carattere stesso degli abitanti.
Entrando nella valle, una delle prime frazioni che si incontrano è Coimo dove si trovano, nella parte più soleggiata, dei bellissimi boschi di castagni. Sono alberi secolari enormi, rispettati e amati da sempre, detti anche “alberi del pane”. Infatti, per la comunità contadina di un tempo, le castagne rappresentavano una delle risorse principali di sostentamento e anche l’occasione per qualche momento conviviale nelle serate invernali. La protagonista era la “bascariola”, una pentola in ferro in cui si abbrustolivano le castagne da assaporare con latte di mucca o capra intiepidito, attorno al camino, insieme alla famiglia.
Con la farina di castagne e patate si preparano ancora gli gnocchi, insaporiti con panna e noci. La panna e il suo derivato, il burro, sono altri elementi ricorrenti nelle ricette valvigezzine perchè apportavano le calorie necessarie ad affrontare una giornata all’aria aperta, solitamente asciutta per la mancanza di umidità, ma con temperature molto basse, specialmente in inverno.
Le abitudini di un’altra epoca, nate per esigenza, sono le tradizioni di oggi.
Nelle zone con clima più mite, ad opera di alcuni giovani agricoltori, è stata ripresa la coltivazione del grano di segale e saraceno che producono farine scure con cui si prepara il pane nero che si propone nella prima colazione insieme a uova e pancetta ed altri salumi. Alessandra Barbieri, esperta del territorio e della buona cucina, mi ha raccontato, inoltre, di un particolare prosciutto, affumicato con aghi a bacche di ginepro bruciati nel camino, di cui mi è sembrato addirittura di sentire il profumo.
Questo pane nero, molto nutriente e di lunga durata, serviva ai pastori quando portavano mucche e capre, da maggio a settembre, sui pascoli di alpeggio, una consuetudine, fortunatamente, ancora presente. Qui gli animali si possono nutrire di fioriture da cui dipende il colore giallo carico di alcuni formaggi. Uno scenario poetico che potete provare ad immaginare o che potrete vedere venendo di persona nella valle.
La polenta giallo oro, a grana grossa e compatta, è l’abbinamento ideale per formaggio fuso o spezzatini di carne in umido e funghi porcini, molto diffusi nei boschi circostanti insieme ad altre tipologie meno conosciute.
La minestra “negra”, a base di verdure, fagioli e pasta corta era definita la “biada dell’uomo”, non troppo brodosa, era arricchita anche da un soffritto di pancetta, una volta privilegio dei pochi che potevano permetterselo.
La torta di pane con il pane raffermo, latte, zucchero e uvetta viene cucinata nel recipiente di terracotta oggi con l’aggiunta di amaretti. Un altro dolce è la “fiacia”, più secca, che veniva preparata in occasione della festa del Santo Patrono (nella Val Vigezzo, ci sono sette comuni e ognuno ha un Santo Patrono e una Madonna).
Riuscite anche voi ad intravedere in queste immagini di un passato ancora presente, un possibile futuro? Io sì, anzi penso che siano la salvezza. Dal cuore. Sandra
Foto: Maurizio Besana
Si ringrazia per la collaborazione Alessandra Barbieri
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Si occupa di cucina e di tradizioni, con un pensiero sempre sensibile verso le tematiche della sostenibilità sia ambientale che economica.
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