La cucina offidana e l’influenza longobarda
La cucina offidana racconta la storia di tradizioni contadine lontanissime, probabilmente, risalenti all’invasione longobarda, iniziata nel VI sec. d.C., che ha lasciato innumerevoli tracce, oltre che nelle architetture della città, anche nella cucina locale. Sono piatti semplici fatti con quel poco che le massaie riuscivano a recuperare tra i tagli di carne meno nobili sfruttandoli al meglio per sfamare le loro famiglie e tipi di pasta preparati con farina e acqua al posto delle uova, arricchiti con la fantasia che abbondava dove mancavano le materie prime. Originali criteri di recupero degli alimenti che potrebbero essere la base dell’attuale economia domestica, sempre più soggetta a rincari. Daniele Citeroni Maurizi, rinomato chef di Offida, ha ripreso orgogliosamente le antiche ricette riproponendole in chiave moderna, senza modificarne i sapori originari, apportando solo qualche ritocco per difetto di tutto ciò che poteva essere ridondante o poco digeribile, un tempo giustificato dall’esigenza di un maggiore apporto calorico e dalla necessità di conservare gli alimenti più a lungo possibile.
I“taccù”, grossi tagliolini impastati con acqua e farina (simili ai pici e agli strangozzi), cucinati in brodo con un soffritto di grasso e magro, senza olio, cipolla, poco pomodoro e pancetta per chi poteva permettersela, da mangiare con cucchiaio e forchetta. L’uso di grasso animale potrebbe risalire, appunto, all’epoca longobarda, un espediente per conferire sapidità agli alimenti quando scarseggiava il prezioso sale, privilegio di poche famiglie più abbienti. I taccù venivano serviti asciutti la vigilia di Natale, insaporiti con un sugo di pomodoro a base di pesce azzurro: tonno, sgombro, alici e aringa, tutti conservati sott’olio o sotto sale.
I “maccheroncini della trebbiatura” erano il piatto della festa, immancabili in un momento conviviale subito dopo la raccolta del grano. La pasta è realizzata con farina e uova, nella classica proporzione di un etto di farina per un uovo, con una farina di produzione locale, non troppo raffinata; il condimento consisteva in un sugo di pomodoro con le parti di scarto del pollo: zampe, durelli, collo, rigaglie, nervetti, insomma il quinto quarto del pollo, con una piccola aggiunta di vitello o ossa di maiale. Oggi si può sfumare la carne con vino bianco secco, ma nelle antiche abitudini questo passaggio non era previsto. La passata di pomodoro o i pelati, una volta, erano sostituiti da acqua e conserva. Il solo ingrediente disponibile in abbondanza era il tempo (al contrario di oggi), infatti il sugo richiedeva una bollitura di almeno quattro ore. I maccheroncini, termine utilizzato per decine di tipi di pasta diversi in tutte le regioni italiane, qui erano rappresentati da tagliolini sottilissimi lasciati ad essiccare: i capelli d’angelo.
Se per il sugo dei maccheroni venivano utilizzati gli “scarti” del pollo, le parti nobili venivano impiegate per realizzare il “pollo ‘ncip ‘nciap”, un’altra eccellenza della gastronomia offidana. Si faceva uno spezzatino, sfufato con vino bianco secco in una pentola con olio, aglio, rosmarino e olive della varietà autoctona tenera ascolana DOP,le stesse impiegate nella preparazione delle famose olive ascolane. 45 minuti di cottura, a bassa temperatura, con coperchio mescolando di tanto in tanto per ottenere una perfetta rosolatura.
Il prodotto per eccellenza del Borgo: il “chichì”, una focaccia gustosissima e saporita, farcita con tonno, alici, capperi e peperoni. Un prodotto da forno che potrebbe essere un’altra reminiscenza del Nord Europa in cui si imbottiva il pane con pesci conservati.
“Tre-sie-nov”, 3-6-9, un dolce al cucchiaio realizzato con tre cucchiai di cacao, sei di farina e nove di zucchero, una sorta di zuppa inglese con tre creme: al cacao; una crema bianca con farina e albumi; una gialla con farina e tuorli. Come base si utilizzava uno strato di “pasta guelfa”, biscottoni da inzuppo fatti con ammoniaca invece del lievito oppure i savoiardi o il pandispagna detto anche “pizza sbattuta” dalle nonne locali, bagnata con l’Alchermes. Poi si soprapponevano a strati le tre creme, nel caso di un dolce unico, oggi presentato in una elegante monoporzione in una coppa.
Il funghetto di Offida, uno dei dolci più antichi ed apprezzati delle Marche, un energizzante che veniva usato nei periodi di pestilenza perché non conteneva ingredienti deteriorabili: acqua, farina, miele al posto dell’attuale zucchero e un liquore a base di semi di anice verde, l’anisetta. Si creavano delle palline che venivano lasciate essiccare all’aria e cotte brevemente in forno.
Credits foto: Umberto Capriotti , Idee di Marca, Daniele Citeroni
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Si occupa di cucina e di tradizioni, con un pensiero sempre sensibile verso le tematiche della sostenibilità sia ambientale che economica.
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