Eros e cibo: Il menu di Afrodite
Sembra di sentire ancora la musica di feste pietrificate nel tempo lungo le vie di Pompei. Un’esistenza basata sul convivio quella degli antichi romani, piena di inviti a cena, di incitamenti a vivere in allegria e a godere di tutti gli aspetti della vita tra i quali il buon cibo.
Innumerevoli le raffigurazioni sugli affreschi del Parco Archeologico di Pompei in cui sono riconoscibili legumi, pesce, carne, frutta e verdura, dolci e vini in splendide anfore di terracotta.
Di certo non mancavano eccessi ed eccentricità e in quest’ottica l’assonanza cibo-sessualità era una normale conseguenza.
Lo chef Giovanni Elefante e lo studioso Francesco Di Martino hanno ricostruito alcune ricette da cui è nato un particolare menu: “Eros e Cibo, il Menu di Afrodite“, apportando degli adeguamenti perché i piatti proposti fossero appetibili anche ai nostri giorni. Infatti, i romani erano grandi consumatori di spezie che all’epoca erano necessarie per supplire alla mancanza di frigoriferi e gli aromi servivano, insieme al sale, da conservanti naturali ma, in molti casi, avevano lo scopo di coprire lo sgradevole odore dovuto all’inevitabile deterioramento delle materie prime.
Oggi un uso così massiccio di spezie non avrebbe senso.
Alle spezie si attribuivano anche altre proprietà, erano considerate afrodisiache (da Afrodite, divinità greca dell’Amore, corrispondente a Venere nella mitologia romana).
E così il pepe nero, la cannella , lo zafferano, i chiodi di garofano, la noce moscata, la vaniglia, il timo, il coriandolo, la senape ma anche pinoli e rucola avevano assunto una certa sacralità e una valenza di seduzione.
Ecco i piatti:
I Lampascioni al Falerno del Massico con gherigli di noci e germogli di portulaca.
I lampascioni, dei cipollotti rosacei leggermente amarognoli originari della Puglia e della Calabria, vengono marinati per 48 ore nel Falerno, un vino tra i più celebri dell’Impero romano, decantato da Catullo e Cicerone e da Petronio nel Satyricon. Le uve venivano pigiate con i piedi dagli schiavi a tempo di musica. Il mosto, invecchiato per anni, veniva poi aromatizzato con spezie, miele e acqua di mare!
Tonno scottato aromatizzato con timo, pepe, senape e sesamo nero con salsa di lattuga allo zenzero.
Il trancio di pesce viene immerso nella senape, avvolto nel sesamo nero e scottato un minuto per ogni lato. I filetti vengono poggiati su un letto di lattuga cruda, altra pianta sacra al Dio della Fertilità, sminuzzata, aromatizzata con zenzero e condita con olio e sale.
Zuppa di cereali fredda con ceci allo zafferano, scarola, calamaretti fritti alla cannella, germogli di spezie e crostini al garum.
Il garum era una salsa utilizzata sia sulla carne che sul pesce, derivata dalla macerazione al sole, dentro delle ceste, sotto sale, di piccoli pesci come alici e sardine, di interiora o parti di scarto di altri pesci, a volte di ostriche, ricci di mare e molluschi.
Qualche dubbio sulla salubrità del garum è leggittima.
Oggi si utilizzano, appunto, filetti ed interiora di tonno, alici e sarde fresche in assoluta igiene.
Spigola marinata con chiodi di garofano, noce moscata, coriandolo, rucola selvatica e pinoli tostati, un’insalatina, si dice, molto gradita da Antonio e Cleopatra durante i loro incontri.
E infine un dolce: ricotta di pecora mantecata con miele e carruba (considerata una unità di misura per i romani), guarnita con lamponi, more, noci e una fogliolina di menta.
Grazie di cuore a tutti. Sandra
Immagini per gentile concessione di:
Per le foto dei piatti: Francesco di Martino