I biscotti di S.Antonio Abate
Nel ciclo festivo della tradizione cattolica, che affonda le sue radici in un più antico sostrato di credenze e di riti collegati all’alternarsi delle stagioni, è ancora particolarmente sentita la celebrazione della festa in onore di sant’Antonio abate.
In tutta la penisola, soprattutto nelle campagne è ancora viva la venerazione del santo egiziano, primo anacoreta, benefattore dei poveri e protettore degli animali. Un tempo si riteneva che alla vigilia della sua ricorrenza gli animali avessero per una notte il dono della parola, ma guai al malcapitato o al curioso che si fossero azzardati ad ascoltare i loro discorsi, perché in tal modo avrebbero infranto un tabù, incorrendo in terribili punizioni.
Solo al santo era concessa questa divina facoltà e per ingraziarsi le sue taumaturgiche virtù, i contadini di un tempo era soliti portare il giorno della festa a far benedire in chiesa i propri animali, affinché fossero sempre sani, prolifici e immuni dal malocchio. Finita la funzione religiosa, in molti luoghi era usanza accendere grandi falò (famoso quello di Nòvoli) a sostenere il sole nei giorni in cui i suoi raggi cominciano, secondo la tradizione, a riscaldare il suolo, mentre su rustiche mense erano apparecchiate umili desinari con pasti caldi, come le famose cottore abruzzesi (Collelongo), polenta di mais, quando questo cereale fu introdotto nella nostra alimentazione, e soprattutto dolciumi.
Tra questi spicca la ciambella di Lugnano in Teverina, una ciambella la cui ricetta si tramanda gelosamente di generazione, dal sapore inconfondibile, che porta una nota di allegria e di speranza nel cuore dell’inverno. La ricetta in apparenza semplice richiede in realtà molta attenzione e una lavorazione complessa, che prevede la preparazione di un impasto al gusto di anice, lavorato in forma di ciambella. Una volta pronti, i biscotti sono buttati in acqua bollente, non appena venuti a galla, sono subito raffreddati nell’acqua gelida e infine, una volta tagliati i bordi e rifiniti, infornati per la gioia di grandi e piccini.
Finita la funzione religiosa, in molti luoghi era usanza accendere grandi falò (famoso quello di Nòvoli) a sostenere il sole nei giorni in cui i suoi raggi cominciano , secondo la tradizione, a riscaldare il suolo, mentre su rustiche mense erano apparecchiate umili desinari con pasti caldi , come le famose cottore abruzzesi (Collelongo), polenta di mais, quando questo cereale fu introdotto nella nostra alimentazione, e soprattutto dolciumi.
Una volta pronti , i biscotti sono buttati in acqua bollente, non appena venuti a galla, sono subito raffreddati nell’acqua gelida e infine , una volta tagliati i bordi e rifiniti, infornati per la gioia di grandi e piccini.
CREDITS FOTO:
Gianluca Belei
Si occupa di cucina e di tradizioni, con un pensiero sempre sensibile verso le tematiche della sostenibilità sia ambientale che economica.
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